Sarà stato per i recenti fatti di Parigi che ci hanno acuito i sensi, sarà stata l’intimità della piccola ma accogliente sala approntata nella sede monopolitana dell’Associazione “Allegra Brigata” (che ha messo in piedi questa rassegna dal titolo “Ladomenicateatro” (con la direzione artistica di Bruno Verdegiglio), ma il monologo “Carcere a vita” ci è proprio piaciuto.
Il testo, scritto, interpretato e diretto da Alfredo Vasco coinvolge con sapienza il pubblico, strappando sorrisi (utilizzando il cliché del dialetto, in questo caso quello di Grumo Appula, che funziona sempre) e commozione, in un crescendo di pathos dal finale che lascia il segno pur nella sua prevedibilità. Bravo e convincente l’attore e regista barese a destreggiarsi in due registri diversi: con tocco leggero narra l’adolescenza “non facile” del protagonista (di cui non sapremo mai il nome) e del suo amico Michele, colpevole di averlo trascinato nel mondo della delinquenza che si rivelerà tragicomicamente fatale; con trasporto (anche fisico) narra la disperazione e il dramma di un uomo innamorato che perde prima l’affetto di sua moglie Sara, poi quello del suo unico figlio, Andrea.
Sullo sfondo, ma neppure tanto, la nostra Puglia, raccontata in intervallo che va dal dopoguerra agli anni del boom economico, per posi passare al periodo tra gli anni settanta e ottanta del contrabbando. La prima sigaretta (Muratti Ambassador), il primo approccio sessuale, lo squallore di bar fumosi dove si gioca “stoppa senza limiti”, i primi furtarelli.
Lo spunto della narrazione è quella sola ora d’aria destinata ai carcerati, e quindi anche a lui, condannato all’ergastolo: una rapida discesa dal Purgatorio all’Inferno, chiuso in un luogo-non luogo che è la cella, come anticamera in attesa che il suo destino si compia. Già, perché al Nostro, non è stata data la possibilità del Paradiso, forse solo per una serie di sfortunate coincidenze. È quindi destinato a essere un fallito senza speranza, capace però di decidere da solo il suo finale, trascinando il pubblico nello strapiombo dello sconforto.