Della serie, quando i mostri facevano davvero paura. A riguardare questi due capolavori del secolo scorso s’intuisce subito come siano cambiati i tempi: allora bastava un’inquadratura, magari di un’ombra proiettata sul muro o sul pavimento, per incutere nello spettatore il terrore più puro. Quello che proviene dalla parte più recondita del cervello e che spalanca una voragine sull’abisso delle fobie. Sarà per quel fulgido bianco e nero, ma di pellicole così non se ne girano più. Oggi il terrore è trash, è virtuale. Un terrore 2.0. Che si dimentica troppo presto, esattamente come la maggior parte delle creazioni artistiche, che sia un film, una commedia teatrale o una canzone.
Due film dunque, due capolavori ripescati dagli albori della settima arte, entrambi firmati da quel genio visionario che è stato Tod Browing. Il primo è “Dracula” del 1931, la versione cinematografica numero uno del capolavoro di Bram Stoker. Un melodramma dall’impianto teatrale che si basa quasi esclusivamente sull’affascinante e sognante interpretazione di Bela Lugosi (che in realtà fu la quinta scelta), impreziosita dalla splendida fotografia di Karl Freund, rappresentante del miglior Espressionismo tedesco e regista egli stesso di un altro classico, “La Mummia” con il mitico Boris Karloff. Interpretazione che regalò all’ungherese gli allori del successo e, contemporaneamente, la sua maledizione: Lugosi non riuscì mai più a scrollarsi di dosso quel ruolo e finì relegato a interpretazioni di genere fino alla fine dei suoi giorni.
Il film, girato in soli quarantadue giorni e che costò complessivamente 341.191 dollari e 20 centesimi, uscì nelle sale americane il 14 febbraio del 1931, giorno di San Valentino, con uno slogan perfetto: «La storia della più strana passione che il mondo abbia mai conosciuto». Memorabile la sequenza iniziale, totalmente muta e senza accompagnamento musicale: lo spettatore che segue Renfield (l’agente immobiliare interpretato da Dwight Frye) tra le rovine del castello in Transilvania, in bilico tra sogno e realtà. Pochi sanno che nella versione originale la sequenza finale del film era un’altra: i titoli di coda, infatti, s’interrompevano e sullo schermo appariva il dottor Van Helsing (interpretato da Edward Van Sloan), che rivolgendosi agli spettatori suggeriva: «Quando sarete tornati a casa stasera e avrete spento le luci, e avrete paura di scostare le tende temendo di vedere un volto alla finestra…non abbiate paura e ricordatevi che dopo tutto…queste cose accadono davvero!». Semplicemente fantastico.
Il secondo film è invece “Freak” del 1932, affidato dai produttori della Metro Goldwin Mayer ancora una volta al regista americano Browing, (che proveniva, tra l’altro dal mondo del circo, dove faceva il saltimbanco e del vaudeville) perché «fosse il film più orribile di tutti gli altri». Nel senso di disturbante, naturalmente. E quella tremenda storia d’amore e di vendetta, tra una trapezista senza scrupoli e un nano, sposato solo per denaro, ambientata nel mondo crudele e penoso dei “fenomeni da baraccone”, suscitò e suscita ancora oggi dopo oltre ottant’anni, un terribile fastidio. Il film non finirà bene, è chiaro, l’avida donna avrà il suo, e sfidiamo chiunque a non restare muti di fronte all’agghiacciante scena finale (che non sveliamo per quei pochi che non conoscono il film e che invitiamo a vedere).
La leggenda vuole che il film sia stato accorciato di circa mezz’ora dopo la prima proiezione avvenuta nel gennaio del 1932, che fu accolta da molti svenimenti e reazioni isteriche durante le sequenze (una vivisezione e un’evirazione) che in seguito furono tagliate perché ritenute troppo impressionanti. Le riprese del film durarono circa settanta giorni e furono ritenute dall’intera troupe «un’esperienza massacrante» e il regista «un maledetto bastardo ingrato e sarcastico». Costato 316 mila dollari, la pellicola fu un vero flop al botteghino e rappresentò la fine della carriera di Browing.
“Freaks” è sospeso tra il melò, il giallo e l’horror e vanta, oltre a quella finale, almeno un altro paio di scene agghiaccianti: quella del banchetto di nozze, dove i “mostri” canticchiano una demenziale (dal gusto amaro di premonizione) canzoncina di benvenuto alla bellissima sposa: «Una di noi, una di noi…»; e quella dell’inseguimento finale, in cui, sempre i “mostri”, inseguono a perdifiato sotto un temporale la loro vittima sacrificale. I freaks protagonisti della pellicola furono in realtà reclutati in giro per gli Stati Uniti; molti di essi, con problemi mentali, diedero anche parecchie rogne durante le riprese, finendo col ribellarsi anche a morsi. Insomma, il film nel film.