(di Carmela Moretti)
Dalla visione dell’ultimo film di Ozpetek il pubblico esce con le lacrime agli occhi. E probabilmente anche un po’ cambiato.
“Allacciate le cinture” racconta una storia normale, di quelle che sono sotto gli occhi di tutti e che solo l’arte sa sublimare, per poi restituirle con sfumature diverse. Due coppie inizialmente mal assortite e costrette all’infelicità, apparentemente perdute nella trappola delle ipocrisie, scoprono d’improvviso la bellezza di ascoltare il proprio cuore. Così Elena (Kasia Smutniak), una venticinquenne dal volto d’angelo, lascia il benestante Giorgio alla sua migliore amica e s’innamora di Antonio (Francesco Arca). Che è uno zoticone, omofobo e fedifrago.
Inizia allora una meravigliosa storia d’amore, che si svela tra passeggiate in motocicletta nell’assolata campagna leccese o dinanzi al mare profondo, d’un blu cobalto. E segue una vita matrimoniale nient’affatto originale, come quella che vivono tutte le coppie del mondo, tra incomprensioni e tradimenti e l’ineluttabile consapevolezza di una magia svanita. Fino a quando arriva il male del secolo a scompaginare le loro vite, con la trafila negli ospedali, l’amicizia di altre donne malate, la paura di non farcela. Ed è proprio lì, su un letto d’ospedale, che l’amore si riscopre ancora vivo e per nulla scalfito dagli anni.
“Io ti amo”, sussurra Elena ad Antonio, che nel frattempo la guarda esterrefatto perché convinto di essere stato sposato per il suo corpo mozzafiato, “ti ho amato dal primo istante, per quello che sei”.
“Allacciate le cinture” è, quindi, un film sentimentale –il più sentimentale di tutti i film di Ozpetek- che parla di un amore troppo forte per tener conto delle differenze sociali, culturali, di sesso e di età (ponendosi sulla scia di altre storie tra donne perbene e burini scansafatiche della nostra pseudo-letteratura, perlopiù inaugurata da Moccia). Ma il regista italo-turco riesce a dare al tema della passione una nuova profondità, immettendo nella storia l’elemento della malattia. E, soprattutto, invitando il pubblico (forse, in particolar modo le nuove generazioni) a riflettere sulla bellezza di riscoprirsi innamorati, piuttosto che spiccare il volo verso altri lidi.
“Lì sopra il tuo viso, lo stesso sorriso che il vento crudele ci aveva rubato. L’amore è tornato da te”, canta con voce dolcemente rabbiosa Rino Gaetano nella colonna sonora.