“La mia unica ispirazione è stata me stesso”, è la frase che campeggia dietro una foto postata sul suo profilo social che abbiamo spulciato per capire meglio chi è Alessandra Minervini. E per la quadratura del cerchio aspettiamoci di tutto in questo suo primo romanzo dal titolo “Overlove” recentemente pubblicato da LiberAria. Alessandra è nativa di Bari, dove è ritornata dopo un periodo vissuto a Torino; qui ha frequentato la Scuola Holden di Alessandro Baricco con cui ha collaborato anche come insegnante di scrittura creativa. Oggi tiene laboratori di scrittura, si occupa di scouting editoriale, di editing (collabora con LiberAria) e di storytelling. Insomma pane e parole.
Il romanzo parte da un assunto che è tutto un programma: «Cosa siamo disposti a fare per amore? Tutto, anche lasciarci». Due i protagonisti: Anna, che lavora nel negozio di famiglia che cela una triste vicenda e Carmine, sposato con una figlia, cantautore alle prese con un blocco creativo e il cibo. Tra i due c’è una relazione nascosta e problematica dovuta all’età (lei è più grande di lui) e alla distanza. Poi la decisione improvvisa: Anna lascia Carmine. Le loro strade, però, sono destinate a incrociarsi nuovamente proprio in Puglia. E qui ci fermiamo per non svelare troppo, aggiungendo soltanto che a fare da contorno ai due innamorati c’è una serie di personaggi curiosi e borderline.
Esordio ambizioso puntare su una storia farcita di ‘troppo amore’. Consigliato agli illusi romanticoni o ai cerebrali disillusi? Alessandra da che parte sta?
Dalla parte di “Overlove”, cioè di un amore così onesto da essere messo da parte perché violato, unto, da un mondo che con l’onestà ha poco a che fare. Sto dalla parte di chi nelle storie (di carta, ma non solo) cerca la verità senza farsi pippe mentali che sono solo dei boomerang. Alcune ambientazioni, come l’incipit nella cava di bauxite vicino a Otranto, sono romantiche. Ma la storia di Anna e Carmine è tutt’altro che romantica. A cominciare dal fatto che finisce nelle prime pagine del romanzo. Lo consiglio, quindi, a chi non ha ben chiaro cosa significhi la fine di una relazione.
Da editor, come hai vissuto il passaggio sull’altra sponda?
In realtà, sono un essere anfibio. Lavoro ancora come editor e mi occupo di didattica con diversi autori. Il passaggio quindi non c’è e non so se ci sarà mai in maniera netta. Amo molto lavorare con la scrittura degli altri. È il mezzo che preferisco per nutrire la mia. Rispetto, invece, al lavoro di editing fatto sul mio romanzo (da Carlotta Colarieti dello studio editoriale romano “42 Linee”) è stato un lavoro non solo di limatura ma anche di orientamento. Carlotta mi ha saputo guidare, anzi mostrare, alcune possibilità e strade che non riuscivo davvero a vedere. Il suo sguardo è stato prezioso, impagabile, soprattutto nella gestione dei molti personaggi presenti nel romanzo.
Gestazione facile o tormentata quella del tuo primo romanzo?
Gestazione complicata. Prima non volevo, poi non mi piacevo, infine non ero sicura e nella mia profonda insicurezza mi hanno sostenuto alcune persone a me care che scrivono, il lavoro iniziale svolto con Gessica Franco Carlevero e il suo “Cantiere di scrittura”. Sono riuscita a finire questa storia dopo aver atteso parecchi anni prima di sentire, nel senso di scrivere, la mia voce. Adesso, sono contenta. La mia voce può piacere o non piacere ma mi appartiene: è la mia dichiarazione di onestà.