Ogni volta che vedo un film diretto da Placido mi dico: Na! questo è un regista bravo! perché nel sotto-sotto dell’anima conservo un pregiudizio artistico nei suoi confronti, dovuto ai pettegolezzi che ascolto sulla sua persona. La verità è che Placido non ha mai sbagliato un film, da quando ha iniziato a dirigerli e quest’ultimo è forse il più intenso, dal punto di vista etico. Gli scienziati delle recensioni hanno scritto che “7 minuti” è pieno di luoghi comuni sulle donne, sugli stranieri e sugli operai, trascurando colpevolmente che scegliere come oggetto del film il nuovo contratto di lavoro in una fabbrica venduta agli stranieri è un atto di coraggio civile e politico; fare film sulle solite cazzate all’italiana non ci vuole molto.
Torniamo al presentazione: il film è stato scritto da Placido e Stefano Massini, uno dei pochi drammaturghi seri e stimati, nel deludente circuito di pagliacci del palcoscenico. Non c’è molto da seguire sul piano dell’avventura; un consiglio di fabbrica, composto da donne di differente provenienza etnica, deve accettare una proposta apparentemente innocua dai nuovi padroni francesi. La decisione sembra facile, ma come vedrete, il film potenzia lentamente e ostinatamente la capacità degli esseri umani di trovare il senso nelle azioni proprie e altrui. Dialoghi intensi, recitazione perfetta, colpi di scena, sentimenti espressi senza menzogne, spirito corporativo, solidarietà umana, drammi personali…che altro deve avere un film per non essere considerato massimalista?
Dato che il regista non è onnipotente e onnisciente come Dio, c’è un punto debole? Sì. Il film, con nostro grande piacere, è tutto schierato dalla parte delle amabili operaie (Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Violante Placido); a esse si contrappone una manager “tutte mosse” che ha come problema principale, voler festeggiare a Parigi il compleanno del nipotino. Essendo sindacalisti sappiamo bene che anche i padroni hanno le loro ragioni, ma Michele Placido per descriverle compiutamente avrebbe dovuto raddoppiare la lunghezza del film, mandando in escandescenza gli spettatori.
Il suo film ci insegna due cose essenziali:
1) quando si deve affrontare una situazione critica è meglio confrontarsi con gli altri, perché lasciati a noi stessi difficilmente ci preoccupiamo di cercare smentite.
2) nelle trattative sindacali, in particolar modo nelle vertenze sui licenziamenti, la cosa migliore da fare dopo aver separato le persone dai problemi è “inventare delle opzioni che possano portare a reciproci vantaggi”. Ho copiato questo principio da un testo classico di Harvard sulla ‘buona negoziazione’ e credo che nel Massachussets abbiano pensato la cosa giusta.